Dopo i primi due Natali più o meno nel
centro della città a due passi dall’aeroporto, siamo passate a vivere in una
vecchia fattoria di Iztapalapa al nord della capitale, una
tipica zona periferica dove ogni giorno arriva gente dalle campagne e ognuno si
accomoda come può costruendo prima una baracca con tavole e zinco e poi, a poco
a poco, compra un po’ di mattoni e li ammucchia per fare prima un muretto e poi
un altro fino a che, con il passare degli anni si vedrà una casa. Le strade
sono ancora tutte polverose e l’acqua e la luce e altri sevizi basici
arriveranno con il tempo.Il Natale degli otto anni che ho vissuto
a Iztapalapa sono stati
autenticamente messicani, vissuti tra
la gente e con la gente, celebrati con grande fede, devozione, ricchezza
culturale… . Tutto comincia con l’inizio del mese di
dicembre in cui il clima natalizio prende il via in ogni casa, strada,
quartiere, scuole, chiese… con musica, preparazione di piatti tipici,
soprattutto dolci da distribuire poi alla fine di ogni celebrazione della
novena che in Messico si chiamano “Posadas”.Verso le otto di sera, quando è già buio,
le famiglie di ogni strada del quartiere, a turno, si radunano e camminando,
tra canti, preghiere e poesie tipiche di queste serate, si passa di casa in
casa
chiedendo ‘posada’ ossia alloggio. Tra i partecipanti ci sono sempre i
bambini vestiti da pastori, gli angeli, qualche pecora vera, molti cani che
accompagnano i padroni e, quasi sempre, l’asino o il cavallo su cui
avanza Maria, accompagnata da Giuseppe, che bussa alla
porta della prima casa dove, dal di dentro le persone di otto case successive,
una dopo l’altra, rispondono che non hanno posto e non aprono la porta.
“En el nombre del cielo os pido posada…
mi esposa está cansada”… canta Giuseppe e così, camminando
di casa in casa, nel freddo della notte messicana, continua una bellissima
filastrocca evangelica, tra richieste e rifiuti quando, finalmente, arrivati
alla nona casa, tutte le persone sono accolte con grande gioia, canti,
preghiere, dolci, tamales di mais, biscotti e una tazza di ponce bollente,
bevanda con frutta tipica dell’inverno della sierra messicana. Per la gioia dei
bambini la cerimonia finisce con la tipica pentolaccia di terracotta, rotta a
colpi di bastone e con gli occhi bendati, significando la lotta contro il
demonio sempre pronto a rovinare anche una bella festa come il Natale.» – (da
Ponente varazzino)
Giuseppina Serafino
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